Due parole sulla figura del tutor.
Prima di tutto, vi supplico, chiamatelo col suo nome.
Il termine è latino, si pronuncia come si legge.
Non mi interessa che nel linguaggio comune venga accolto con entusiasmo filoanglosassone come se fosse una produzione d’Oltremanica.
Avete presente il Vallo di Adriano?
Di qua i latini, di là gli (attuali) scozzesi.
Se in patria mi chiamano tiutor, non mi volto.
Il tutor della formazione è un eroe.
In aula, capisci che il tuo mestiere non si riduce a compilare registri quando il luminare docente di turno ti supplica di sostituirlo sul palco (questo credono i docenti luminari: di essere Mick Jagger. A volte Justin Bieber) per coinvolgere gli astanti disattenti e portare a termine la lezione.
O quando ti alzi alle quattro del mattino per aprire un corso che il coordinatore ha fissato per le sette e mezza a duecento chilometri di distanza da te e, un volta giunto sul posto, leggi su un cartello che la struttura apre alle nove. Partecipanti al corrente, docente al corrente.
Il tutor è sempre l’ultimo a saperlo, come Re Artù.
E, ancora, quando nessuno si è premurato di verificare le condizioni dell’aula che ti ospita, ivi compresa l’attrezzatura in dotazione, e il luminare docente va in iperventilazione per l’assenza di una lavagna a fogli mobili e minaccia di tornarsene a casa, come se non fosse quello che tutti (nessuno escluso) vorrebbero. E allora tu prendi la macchina e batti in lungo e in largo la ridente cittadina che vedi per la prima volta in vita tua, alla disperata ricerca di qualsiasi cosa possa fare le veci del fetente strumento (fetente perché, quando c’è, è normalmente rotto). E alla fine trovi una cartoleria sul punto di chiudere per pranzo dove, nella penombra di un magazzino ormai a luci spente, intravvedi la salvezza in un rotolo di cartoncino Bristol appoggiato in un angolo pieno di polvere. Poi compri i pennarelli, e lo scotch per attaccarlo al muro. Poi torni ansimante ma pieno di gioia in aula, e scopri che il Luminare ha superato la crisi d’ansia grazie a una pausa al bar di un’ora e mezza.
Che poi il bello viene quando ti pagano.
Ché, quello del tutor, è un compito posizionato alla base della catena alimentare, alla stregua di un mollusco che tutto quello che deve fare è stare fermo a presidiare il suo scoglio sperando di non essere inghiottito dalle onde in tempesta o dai mostri marini.
Beh, provateci voi.