Per questo una cosa mi piace e quell’altra no
Una verità universalmente riconosciuta e drammaticamente ricorrente?
Se un’azienda è costretta a collocare da qualche parte un dipendente di cui preferirebbe di gran lunga sbarazzarsi, sta’ pur sicuro che lo metterà nel suo Ufficio Formazione.
Se non ce l’ha, lo creerà apposta.
Tra correre e scappare, come si dice, bisognerà pur scegliere il male minore.
Ché, a quanto pare, ciò che rende l’Ufficio Formazione aziendale la cloaca massima per eccellenza sacrificabile a questo genere di cause è, appunto, il fatto di essere il meno esposto a rischi importanti e decisivi per la sopravvivenza dell’azienda sul mercato.
Insomma: il collega che nessuno vuole (è stupido come una zolla di terra, è sfaticato come un bradipo sotto anestesia, è inutile come lamentarsi, costa più per malattie e maternità che per quello che realmente fa… non so, le opzioni sono incredibilmente innumerevoli) lo piazzano nell’Ufficio Formazione perché è quello in cui può fare meno danni in assoluto. Claro?
E lì rimarrà per sempre. Forever.
Se lo cambiano di posto, è per promuoverlo a Responsabile.
Responsabile dell’Ufficio Formazione.
Oppure, anche meglio: Responsabile Formazione. E basta, della serie t’ho detto tutto.
Il Numero Uno della Cloaca Massima, con inquadramento contrattuale e stipendio adeguati al ruolo, si capisce.
Io ci ho messo un po’ a convincermi che non fossero tutte dicerie.
Ci ho messo un po’ perché credo così tanto nel fine ultimo della Formazione (e quale sarebbe poi? Il miglioramento continuo? Baf) che ho davvero fatto molta fatica a capire perché mai il mondo di cui faccio parte funzioni così.
Voglio dire: ma che ci stiamo a fare? Davvero solo quello? Tutti quanti?
Non che adesso io lo abbia proprio compreso del tutto: sono solo più vecchia e, se c’è una cosa che ho imparato a fare con l’età, è accettare così com’è anche quello che non riesco proprio a capire.
Con, in aggiunta, quella stessa serenità con cui accoglierei un frontale contro una parete di cemento armato e che solo il senso dell’inevitabile sconfitta può regalarti: è sorprendente come l’accettazione del non poterci fare niente cambi la prospettiva sulle cose della vita.
Chiaro: cambia la prospettiva, non il fatto che sfracellarsi sia fastidioso.
Ma, per un ariete, già smettere di dimenarsi per le questioni di principio è un successo notevole.
Keep calm, tanto non serve a niente.
Eh? Come dici?
Ho tentato la ribellione fintanto che ci sono stata dentro, a un Ufficio Formazione: mica siamo tutti così, ci mancherebbe! Non è che, solo perché lì dentro ci finiscono tutti gli inetti del pianeta, allora tutti quelli che ci lavorano sono per forza inetti a loro volta! Diciamo che le statistiche sono scoraggianti, ma ci vorrà pure qualcuno che sa e che sa fare, specialmente se l’azienda in questione È essa stessa, per intero ed esclusivamente, un Ente di Formazione (ma tranquilli: anche dentro a una grande cloaca massima possono essercene di più piccole e altrettanto meravigliosamente organizzate, come i gabinetti chimici nei grandi festival rock che non rivedremo mai più).
E, se sei uno di quelli che fanno e non uno di quelli che guardano fare, può essere davvero molto frustrante quell’ineluttabile (ripetiamo insieme a futura memoria: non cambierà mai) menage quotidiano.
Tuttavia, finché le cose stanno così, purtroppo o per fortuna non sono molto diverse dalla miriade di altre situazioni simili che costellano mirabilmente gli ambienti lavorativi di tutto il mondo (ma del Bel Paese un po’ di più, secondo il mio inutile parere), tipicamente organizzati in modo che chi sa e sa fare non valga nulla.
È quando esci dagli Uffici Formazione, e cominci ad averci a che fare dall’esterno, che esplode in tutta la sua magnificenza la punizione divina di cui sei portatore fino a quel momento inconsapevole.
La domanda che ti fai è: ma io che male avrò mai fatto?
Ammesso e non concesso che sia universalmente e tacitamente accettata una politica aziendale così poco condivisibile (per favore, inventate un altro Ufficio! Imparare è una cosa FONDAMENTALE per la sopravvivenza dell’umana specie! O almeno credo), il vero dramma è doverla continuare a subire una volta che credi di essertene affrancato per sempre.
E, per di più, all’ennesima potenza!
Perché non c’è ombra di dubbio sul fatto che i tuoi nuovi interlocutori (quelli che hanno il contatto col cliente finale, quelli che gestiscono il budget del progetto, quelli che decidono cosa è bene e cosa è male, quelli che governano tutto il processo in cui sei coinvolto come fornitore) saranno proprio QUEI Numeri Uno (ma tutti, e tutti insieme, stavolta!) che gli dei hanno messo lì – lo dicessero una volta per tutte – al solo scopo di provocarti fino a farti bestemmiare e, di conseguenza, continuare legittimamente a punirti finché non muori.
A me era stato detto, ero stata avvisata e non ci avevo creduto.
Poi l’ho visto coi miei occhi e allora mi sono ricreduta.
Ora lo so con atarassica sicurezza, e tuttavia sono ancora qua: ad avere a che fare con gente importantissima che neanche sa scrivere nella propria lingua madre una frase di senso compiuto, a distribuire valore per l’anima della causa in cui credo tuttora ciecamente soltanto perché – sospetto – sono e resto figlia di una maestra d’asilo.
E allora?
Se ognuno ha diritto di vivere come può, perdinci, anch’io.