Just do it!

In gelateria c’è una nuova ragazzetta.
Apprendista neoassunta, ce l’ha scritto in fronte.
Le chiedo una cialda ripiena, e lei affronta la cosa con encomiabile senso del dovere.
Una mescolata nella vaschetta, due mescolate nella vaschetta, tre mescolate nella vaschetta e poi su, depone la minuscola quantità di materia lattea raccolta con estrema cura sul cono, e poi di nuovo da capo, almeno tre giri per gusto, per fortuna ne ho scelti solo due.
Assisto inebetita a un vero e proprio rituale, fatto di gesti lentissimi ed estenuante precisione perfezionista, mentre riesco soltanto a pensare ti prego dammi ‘sto gelato ne ho bisogno ne ho voglia desidero con tutto il mio corpo affogarci dentro subito.
Mi viene consegnato mezzo chilo di autentica opera d’arte in un sol gesto, con un sorriso a trentadue denti (forse meno, ho un dubbio su quelli del giudizio) che alla fine mi commuove.

Io odio i lenti.
Io li odio perché mi fanno perdere tempo.
Io li odio perché in realtà li invidio (lo zucchero sta inondando le mie viscere).

Poi penso (io penso molto): è meglio la quantità o la qualità?
È meglio fare meno cose ma farle bene, mettendoci il tempo che ci vuole, o è meglio fare più cose ma trascurando i dettagli, risparmiando tempo ed energia per farne altre e altre ancora?

Naturalmente, non si ha molto spesso la possibilità di scegliere.
E, naturalmente, dipende sempre da cosa si fa, per chi o perché lo si fa, dalle condizioni in cui lo si fa, e dalle personali inclinazioni, che tra l’altro possono anche subire repentine variazioni istantanee.

La ragazzetta era felice.
E non saprà mai quanto sia riuscita a rendere felice me.
Forse il suo capo sarebbe più felice se riuscisse a vendere più gelati nello stesso arco di tempo.

Io sono felice se riesco a fare tutto quello che devo nel modo in cui so che deve essere fatto: vado in crisi se il tempo non mi basta, o se l’inettitudine altrui mi rallenta le operazioni, o se qualche incompetente che ha potere decisionale mi manda in fumo tutto quanto o se, per star dietro a questo flusso inarrestabile, dimentico le cose importanti per me.

Certamente la perfezione non è di questo mondo, ma il guaio è che c’è chi ci campa su questo assunto.

Arrivo fino in fondo alla mia cialda (esiste qualcosa di più conciliante con l’universo dell’ultimo pezzetto ancora ripieno di panna?) e delibero quanto segue: sarebbe già molto se, a prescindere dal quando dal come dal quanto, le cose da fare venissero semplicemente fatte.


“L’essenziale è invisibile agli occhi”, ripeté il piccolo principe, per ricordarselo. (Antoine de Saint-Exupéry)

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