Communication breakdown


Conosco persone che, pur di esprimere a pieno le loro emozioni via messaggio, ma rigorosamente senza ricorrere agli emoticon, sono disposte a scrivere poemi lunghissimi.
E, spesso, con scarso successo.

Ne conosco altre che, senza gli emoticon, non sono in grado di esternare un semplice concetto che sia uno.
Neanche un ciao, come va?

Ho notato che non sempre la cosa è in relazione col carattere, nel senso: da gente di poche parole, magari ti aspetteresti altrettanta sintesi via messaggio, come dai logorroici ogni volta la Divina Commedia. Invece non è sempre necessariamente così, e lo trovo curioso.

Io credo di essere un po’ una via di mezzo: mi piace scrivere, e si vede anche per messaggio.
Tuttavia non disdegno l’uso degli emoticon, che mi aiutano non poco a rendere bene tutta quella parte non verbale della comunicazione che, su questo mezzo, chiaramente si perderebbe.
Soprattutto, li trovo utili quando devo mandare un messaggio a un interlocutore che non può farne a meno: se riesce a capirmi solo così, è assurdo cercare vie diverse solo perché a me piacciono le parole.

Tutto questo per dire tutt’altro, o quasi.
L’altro giorno ho dovuto mandare un messaggio a una persona che non conosco ancora abbastanza bene.
Soprattutto, non conosco ancora abbastanza bene il suo stile comunicativo con questo mezzo.
Per non rischiare di essere fraintesa, ho scritto tutto quello che dovevo dire per filo e per segno, senza ricorrere a nessuna faccina o immagine o che: 15 righe di messaggio, chiare come il sole.
L’altra persona ha risposto dopo tre ore d’orologio con tre figurine: un pollice alzato, un boccale di birra, una faccina che ride.

Allora mi sono ricordata di una cosa sepolta nella memoria, così antica da farmi venire le lacrime agli occhi se solo ci penso ora che mi è tornata in mente, che risale a quando facevo la terza media e leggevo con curiosa avidità tutto quello che i professori ci propinavano tra i banchi verdi di formica, traendo lezioni personalissime che poi una volta grande pensi di aver rimosso e invece…

Eccola qua,  appena appena riesumata per l’occasione: la Lettera di Ramesse!
La dice veramente lunga su queste faccende, anche se per noi, nel 1990, i messaggi erano solo pizzini accartocciati senza far rumore e passati sottobanco per copiare la soluzione di un problema di matematica.

O, al massimo, per prendere in giro il prof.

 

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