Per il momento, la novità sembra essere che l’équipe dei Taglia-e-cuci non voglia più saperne di me da qui a un mese.
Dopodiché deciderà, forse tirando una monetina o forse giocandosela a carte, se operarmi o meno.
Ormai la prendo così anch’io, non c’è differenza.
Stacippa.
I fatti
Beh, c’è abbastanza poco da dire: sono seguita da due chirurghi e, a seconda di quale dei due risponda al telefono, cambiano le cose da fare.
Fino a venerdì mattina, sarebbe stato davvero utile verificare con una lastra a che punto siamo.
Poi – non è chiaro cosa sia successo nottetempo – improvvisamente la mia telefonata per fissare l’appuntamento si è tramutata nell’atto più inopportuno che un paziente (che ha rischiato la vita, vorrei rimarcare giusto per dovere di cronaca) potesse compiere.
Ho beccato il Dottor Ansia, tra l’altro in una di quelle giornate che probabilmente passerà alla storia come tra le migliori della sua carriera, e il verdetto è questo: non v’è alcuna fretta di controllare come stai, tanto alla peggio c’è sempre l’opzione dell’intervento, lascia lì di rompere le scatole e finisci la tua ginnastica fra un mese, in rigoroso silenzio.
La reazione
Posso anche andare su tutte le furie finché mi pare, cosa in effetti verificatasi all’istante, ma non è che così le cose cambino di molto.
Anzi, probabilmente andrà a finire che, se non mi do una calmata, si dovrà intervenire chirurgicamente anche sul fegato.
Poiché non ho ancora iniziato a praticare yoga, non sono ancora in grado di prenderla con filosofia zen.
E, poiché sono ancora troppo impegnata ad allargare i polmoni ai soli fini respiratori (non meditativi), cosa mi è venuto in mente di fare?
Una quarantina di km a piedi in tre giorni!
Di cui, per la verità, venti solo sabato.
E ho anche provato a correre, ma lasciamo perdere.
Mi sento un po’ stanchino, sussurrò infine Forrest Gump…
L’idea
fomentata da qualche conoscenza buona che, del tutto casualmente, vanto in reparto, sarebbe quella di scatenare l’inferno.
Ma preferirei attendere lo sviluppo degli eventi.
Perché, se in sala operatoria dovessi poi finire proprio nelle mani di Bisturi-isterico, beh capite bene quanto al momento possa convenire tenerselo amico il più possibile…
L’idea alternativa
me l’ha data, già quand’ero ricoverata nel mio letto 53, il mio amico CC-il Regista.
Voleva creare una sit-com interamente ambientata in quella camera e girata esclusivamente in soggettiva, presentando i fatti unicamente dal mio punto di vista di lungodegente costretta a letto.
Lo spunto gli era venuto constatando quante persone mi siano passate davanti agli occhi, susseguendosi un ricovero-e-relativa-dimissione dopo l’altro, prima che finalmente toccasse a me lasciare la stanza.
Che, tra parentesi, è un mese esatto proprio oggi.
Allora ho pensato che mi piacerebbe riprendere quello che mi capita da paziente (per la verità, sempre meno paziente) per poi mostrarlo non a un giornale, non a una televisione, non a un giudice, non a un primario, ma direttamente ai medici/infermieri/radiologi/fisiatri e fisioterapisti/operatori socio-sanitari/caposala/addetti al triage e via dicendo coinvolti personalmente nelle mie vicende ospedaliere.
Così, giusto per vedere l’effetto che fa.
Sarebbe interessante ricavarne un corso di formazione per addetti alle professioni sanitarie.
Un corso accelerato di empatia.
Potrebbe chiamarsi “Mettiti nei miei panni”.
Uno si aspetta la solita solfa teorica.
E invece SBABAM!
Pugno sul naso, iniziamo subito col farti vedere come TU (proprio tu, non un altro al posto tuo) ti sei mostrato a me – paziente-tipo – in tutto questo tempo, tutte le volte che hai avuto a che fare con la mia faccia e col mio corpo, con la mia sofferenza le mie paure le mie speranze, la mia fragilità e la mia impotenza e la mia rabbia.
E dopo te lo chiedo io come stai.
Sinceramente?
Sarebbe bellissimo.